Il podcaster Matteo Fabbri ci accompagna a conoscere i cantanti famosi romagnoli che hanno illuminato gli ultimi 40 anni!
Un vero e proprio viaggio nella storia della scena musicale romagnola dagli anni 80 a oggi attraverso 3 illustri rappresentanti della musica romagnola contemporanea.
L’articolo di oggi nasce dalla collaborazione con Matteo Fabbri, autore di “Suono ma nessuno apre”. Un vero regalo che il podcaster ravennate fa a Piadina Story e ai suoi lettori! Ti consiglio vivamente di aggiungere il suo bellissimo podcast musicale ai tuoi preferiti. Prima di iniziare: scopriamo
Chi è Matteo Fabbri, podcaster di “Suono ma nessuno apre”

Suono Ma Nessuno Apre, ogni 2 martedì, ti racconta la musica con leggerezza e, al contempo, con dovizia di dettagli e contesto. Ogni puntata è un viaggio nel tempo e nello spazio che ci fa capire il mondo in cui siamo o che ci ha preceduti attraverso un’importante manifestazione culturale: la musica appunto!
Matteo Fabbri, ravennate, appassionato ed esperto di musica, è speaker radiofonico e autore per “Radio Italia Vision”, inoltre tiene serate di racconti musicali in locali del ravennate. Scrive ed ha scritto per diverse testate (oggi potete leggerlo su Ravenna Today) ed è l’ideatore di “Suono Ma Nessuno Apre“, podcast di approfondimento musicale. In “Suono Ma Nessuno Apre“, Matteo Fabbri scandaglia le vite, la storia, le geografie percorse dalla musica in modo coinvolgente e sempre molto interessante. Ogni puntata tratta di artisti, correnti e temi diversi. Un vero e proprio viaggio musicale che, in 30 minuti, coinvolge nelle tantissime storie e curiosità che Matteo confeziona sapientemente in ogni puntata.
L’evento di beneficenza per l’alluvione in Romagna e l’omaggio alla bellezza della Romagna
La scorsa settimana ho partecipato a un evento di beneficenza dedicato alle vittime dell’alluvione in Romagna. Presso il negozio di musica “Jean Music Room” di Ravenna, dove ogni tanto tengo serate musicali, si è tenuto un incontro che celebrava l’arte e la bellezza della Romagna. Durante l’evento, vari relatori si sono alternati: alcuni hanno letto poesie di scrittori romagnoli, altri hanno raccontato la storia di personaggi storici della zona, altri ancora si sono focalizzati sul cinema e sulla musica tradizionale romagnola, come il liscio e la storia di Secondo Casadei. A me è stato chiesto di parlare della musica moderna e dei cantanti pop-rock nati in Romagna che hanno ottenuto successo a livello nazionale. Quello che state leggendo è proprio estratto dal mio intervento.
Un omaggio a Giuseppe Tittarelli, Titta, e le “Fecce Tricolori”

Intanto inizio con qualcosa di cui non sono riuscito a parlare a quell’evento, per cui lo faccio qui. Ritengo doveroso, infatti, un piccolo omaggio al mitico Giuseppe Tittarelli, in arte Titta. Che assieme al suo storico gruppo, le “Fecce Tricolori”, è stato uno dei re del rock demenziale anni ‘90. Giuseppe Tittarelli era originario proprio di Ravenna. Figura molto amata, soprattutto qui in Romagna, dove è stato ribattezzato “il dottore dell’amore”. Titta, purtroppo, è scomparso prematuramente tre anni fa. E anche se magari non ha raggiunto la popolarità su larga scala, è stato uno dei paladini di quel modo di intendere la musica che utilizza l’ironia per affrontare anche temi scomodi. A questo univa una presenza scenica molto forte: un autentico animale da palco!
Scena musicale romagnola contemporanea: poco affollata ma di qualità

Prendendo l’Emilia Romagna come regione nella sua interezza, il confronto tra la produzione musicale emiliana e quella romagnola, bisogna essere sinceri, è impietoso. L’Emilia ha, infatti, una scuola di profilo sicuramente più alto: tutta la corrente bolognese in primis, ma non solo. E quindi i vari Dalla, Guccini, Carboni, Stadio, Nomadi, Zucchero, Vasco, ma anche CCCP, Skiantos, e via dicendo. La Romagna ha meno nomi, ma comunque qualcosa c’è. E in queste poche righe ho deciso di focalizzarmi in particolare su due cantanti famosi romagnoli molto diversi: una donna e un uomo. Si tratta di due nomi che spesso si ignora siano nati in Romagna, forse perché dai loro dischi non traspare quella “romagnolità”, passatemi il termine. E invece non solo ci sono solo nati, ma ci hanno vissuto tutta la gioventù e parte della loro vita: sono parte della storia della scena musicale romagnola.
L’incontro casuale con Franco Battiato e il successo di Alice

Cominciamo dalla donna. Torniamo indietro al 1980, momento in cui c’è una cantante, nata a Forlì, che alle spalle ha già una certa gavetta. Ha vinto il Festival di Castrocaro, è apparsa a Sanremo, e ha pubblicato un paio di dischi. Ma ha un riscontro commerciale ancora modesto. Pochi mesi prima di quel 1980, quasi per caso, aveva incontrato Franco Battiato, a cui aveva fatto ascoltare alcune idee. Il maestro. inizialmente. si era limitato a qualche parola di incoraggiamento, promettendole però che si sarebbe fatto risentire.
Cosa che effettivamente era avvenuta: Battiato l’aveva presa sotto la sua ala, dandole una svecchiata artistica, e giocando molto su quella sua voce dai toni bassi, potente e solenne. Quella ragazza è Carla Bissi, in arte Alice.
Il sodalizio Franco Battiato – Alice porta a ben tre album, dall’80 all’82. Produzioni di un pop ricercato e dal sound internazionale, in cui il processo creativo era il seguente: Battiato e il fidato collaboratore Giusto Pio si occupavano delle musiche, mentre Alice si concentrava sui testi.
Uno dei picchi massimi di questo connubio si verifica nel 1981, anno magico per entrambi: Franco Battiato esplode definitivamente con “La Voce del Padrone”. Carla Bissi, ovvero Alice, dà alle stampe l’album omonimo, “Alice”, in cui è contenuta “Per Elisa”. Canzone tutt’altro che sanremese ma con la quale, a sorpresa, vincerà proprio il Festival dello stesso anno.
Alice deve sicuramente a Battiato la sua consacrazione, ma farà buone cose anche dopo, costruendosi una carriera da cantautrice completa, costellata di dischi pop sofisticati. Del resto, lo stesso Franco la chiamava “la prima della classe”, oltre che “l’anguilla di Forlì”.
Il suo pezzo che preferisco è anche quello che la impose all’attenzione del grande pubblico, nonostante si trattasse di un pezzo abbastanza anomalo rispetto a ciò che abitualmente occupava i primi posti delle classifiche. E’ infatti caratterizzato da un’introduzione su tempi dispari e da una sospensione della ritmica nel ritornello. Peraltro ha delle sfumature cupe, capaci di evocare l’essenza più malinconica dell’estate e della fine di un amore: “Il Vento Caldo dell’Estate”…
Lucio Dalla scopre un giovane talento romagnolo: la genesi di Samuele Bersani

Adesso ci spostiamo in avanti di circa dieci/quindici anni. Alice non è l’unica romagnola di successo, e non è nemmeno l’unica che deve più di qualcosa a una figura esterna.
Siamo nel 1991 e la musica romagnola contemporanea sta assistendo alla nascita di una nuova stella. Se quell’anno foste andati a vedere il tour di Lucio Dalla in cui promuoveva il disco “Cambio” (quello di “Attenti Al Lupo”, per capirci), ogni sera avreste assistito a una scena particolare: verso metà concerto, subito dopo l’esecuzione di “Caruso”, quindi in un momento di grande pathos, Lucio si faceva da parte e lasciava il palco a un giovane di ventuno anni, ancora sconosciuto, che si esibiva, piano e voce, con una sua composizione dal titolo “Il Mostro”. Quel ragazzo veniva da Cattolica, provincia di Rimini, e di nome faceva Samuele Bersani.
Come era riuscito il giovane Samuele a farsi apprezzare da Lucio a tal punto da portarselo sul palco? Pochi giorni prima era andato a un concerto di Dalla e, con un po’ di faccia tosta, si era intrufolato nel dietro le quinte, implorandolo di ascoltare un nastro con quella sua canzone, “Il Mostro”. Lucio ne restò colpito, tanto da chiedergli “ma dimmi la verità, l’hai scritta tu o l’hai copiata?”. Samuele Bersani gli rispose che era tutta farina del suo sacco. Da quell’istante diventa il pupillo di Lucio Dalla.
Samuele Bersani è sicuramente legato artisticamente a Dalla e a Bologna. Ma ha comunque radici romagnole molto forti ed evidenti, che non manca mai di mostrare. Il suo “best of” del 2002, ad esempio, che ho qui davanti a me, nel retrocopertina lo ritrae in una foto da bambino mentre è nella casa di famiglia. O ancora in “Freak”, una delle sue hit più popolari, cita platealmente la “piadina romagnola”. Per non parlare del suo accento e della sua cadenza, che non nasconde mai (c’è anche chi lo fa). E poi ci tiene sempre a ribadire che, sì, va bene Dalla, ma deve moltissimo anche a suo padre, noto flautista e maestro di musica del riminese. Casa sua è sempre stata piena di strumenti. Samuele Bersani, crescendo in un contesto simile, ha sviluppato fin da piccolo una certa sensibilità musicale.
Il periodo d’oro di Bersani è quello che va dal ‘92 alla prima metà degli anni 2000 circa. In questo lasso di tempo pubblica diversi album, in cui peraltro ci suonano membri degli Stadio, degli Skiantos, Ron, lo stesso Dalla, ecc…dischi nei quali mette in mostra il suo stile di scrittura originale.
L’arte di Samuele Bersani: ironia, serietà e sottile trattazione di temi di attualità

C’è sempre stata questa diatriba tra estimatori e detrattori alla domanda: Samuele Bersani è uno dei più grandi cantautori della sua generazione, o è solo quello di “ciao ciao belle tettine”? C’è chi lo critica, infatti, per alcune sue cose all’apparenza disimpegnate. In realtà a me piace proprio perché alterna composizioni più leggere a immagini che lasciano il segno. Riuscendo a unire ironia e serietà, vita adolescenziale e temi di attualità, che sa trattare in maniera sottile. E’ anche un po’ criptico e per questo stimolante, perché devi comunque addentrarti nelle sue cose. Cioè non ti presenta i pezzi su un piatto d’argento. Al contrario, sembra quasi essere lui a chiederti di aiutarlo a trovare la giusta chiave di lettura.
E’ il caso della sua canzone forse più importante, “Giudizi Universali”. Anche qui contestualizziamo un attimo: 1996, Samuele Bersani viene lasciato dalla sua ragazza dell’epoca. Il giorno dopo si presenta in studio da Lucio Dalla, e scoppia a piangere. Lucio lo guarda e gli dice “capitalizza questo dolore, non lasciarlo marcire, prendilo e fanne qualcosa”. Samuele lo ascolta, torna a casa e scrive il testo del brano “Canzone”, che Dalla porterà al successo. Un pezzo che parla di amore e speranza, scritta da un uomo
che crede ancora in un possibile ritorno della donna amata.
Il lieto fine però non arriva. E pochi mesi dopo, nel ‘97, Samuele Bersani scrive un altro testo, che ne è l’ideale prosecuzione, dedicato sempre alla stessa ragazza. I sentimenti però sono diversi: stavolta è arrabbiato, rassegnato, e riesce a raccontare la fine di un amore in maniera non scontata, tramite metafore e similitudini. Esplodendo in un ritornello a cui lui tiene molto. Una volta, infatti, andai a un suo concerto e prima di questo brano si raccomandò col pubblico:
“se avete voglia di cantarla sappiate soltanto una cosa che per me è importante: il ritornello non dice ‘vorrei ma non posso’, dice ‘potrei ma non voglio’.
Samuele Bersani
E lì sta tutta la differenza del suo significato”…

Ascolta la puntata di Suono Ma Nessuno Apre con tutte le tracce musicali citate (e non solo) nell’articolo del bravissimo Matteo Fabbri! Credimi: te ne innamorerai
Laura Pausini: l’icona della musica italiana oltre i confini nazionali

Ci avviamo verso la fine di questa cartolina sui cantanti famosi romagnoli. Ovviamente, non si può trattare la musica romagnola contemporanea senza nominarne la regina: Laura Pausini, originaria di Solarolo (in provincia di Ravenna). La Pausini è un autentico fenomeno commerciale, capace di diventare un’icona anche fuori dai confini nazionali, in particolare in Sudamerica dove è letteralmente venerata come una dea. Laura Pausini ha inciso brani in tante lingue, collaborato con gente del calibro di Madonna, Phil Collins, Aznavour, ecc… E’ l’italiana più famosa all’estero, ha venduto decine di milioni di dischi, aggiudicandosi diversi riconoscimenti importanti, tra i quali un Grammy e un Golden Globe, giusto per capire a chi siamo di fronte.
Bonus track: “Rimini” di Fabrizio De Andrè

Io però vorrei concludere con una bonus track. Una canzone, cioè, che di romagnolo ha l’ambientazione, ma è stata creata da un artista che romagnolo non è. La storia della scena musicale romagnola ha diversi esempi di questo tipo, ma ho deciso di focalizzarmi su uno in particolare: il disco “Rimini”, firmato da Fabrizio De Andrè, assieme a Massimo Bubola, uscito nel 1978.
Chiarisco subito che, a dispetto del titolo, non si tratta di un concept album su Rimini o sulla Romagna, però qua e là ci sono dei riferimenti. I più espliciti sono nel titolo, appunto, ma anche nella stessa canzone, “Rimini”. E, infine, nella copertina, curata da Cesare Monti, autore di altre mille copertine (tra cui, ad esempio, molte di Battisti). Quella che si vede, anche se non sembra, è la spiaggia di Rimini. Monti, arrivato a Rimini, non trovava la location e la luce giusta per uno scatto. Poi vide il set fotografico già montato da parte di un altro fotografo, che aveva posizionato sulla battigia delle finte palme di plastica,
testuggini, stelle marine e gonnelline colorate hawaiane di plastica. Intorno si era formato un assembramento di donne che volevano farsi ritrarre con quello sfondo, come per fingere, al loro rientro dalle vacanze, di essere stati in chissà quale isola del Pacifico. Alla vista di quella scena, Monti decise che sarebbe stata la foto perfetta per la copertina del disco di De Andrè. “Rimini” non è tra i dischi più amati di De Andrè, eppure a me piace molto: prima di tutto perché c’è più attenzione per la
musica. Le sonorità si fanno infatti più ricche e la sua chitarra si circonda di strumentazioni fin lì poco utilizzate. Poi adoro il contrasto che c’è tra ritmi e melodie quasi giocose, auto-ironiche, che si prendono poco sul serio; e testi invece oscuri, in cui, come sempre, è un maestro nel raccontare gli ultimi e gli emarginati. Sono storie malinconiche di prostitute, tossicodipendenti, omosessuali. Sono testi crudi e spietati, che non ti aspetteresti da un album che si intitola “Rimini”, simbolo del divertimento e meta del turismo estivo, anche in quegli anni ‘70. Il brano più evocativo è proprio la traccia che dà il titolo all’album, “Rimini”, una canzone con cui Faber è bravissimo a intrecciare in maniera poetica l’ambientazione de “I Vitelloni” di Fellini a una storia drammatica.
Mentre i giovani invadono per le vacanze estive la costa romagnola, infatti, rendendosi protagonisti di amori che durano il tempo di un’estate, c’è una ragazza riminese, di nome Teresa, che è alle prese con un aborto, dopo essere rimasta incinta del bagnino. Lei guarda pensierosa verso il mare, e viaggia con la fantasia nel tempo e nello spazio, fino a incontrare metaforicamente Cristoforo Colombo, con cui condivide lo stesso spirito d’avventura: così come lui veleggia verso luoghi ignoti, anche lei sogna ad occhi aperti guardando l’orizzonte, ma i suoi occhi non riescono a celare le ferite che ha dentro,
anche perché, a causa di quella vicenda, è vittima delle chiacchiere in paese…
Per approfondire:
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